La società di fatto holding è fallibile a prescindere dalla spendita del nome

Giurisprudenza

Con sentenza n. 15346 in data 26 luglio 2016, la I^ sezione civile della Corte di Cassazione, mettendo fine ad un corposo contenzioso che ha visto in prima linea anche il nostro studio, ha statuito il seguente principio di diritto:

La società di fatto holding esiste come impresa commerciale per il solo fatto di essere stata costituita tra i soci per l’effettivo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di altre società ed è, pertanto, autonomamente fallibile, a prescindere dalla sua esteriorizzazione mediante la spendita del nome, ove sia insolvente per i debiti assunti, ivi comprese le obbligazioni risarcitorie derivanti dall’abuso sanzionato dall’art. 2497 c.c., nonché al danno così arrecato all’integrità patrimoniale delle società eterodirette e, di riflesso, ai loro creditori”.

Il caso da cui trae origine la citata massima prende il via da un’istanza di fallimento presentata, avanti il Tribunale di Torre Annunziata, dal Fallimento del Gruppo Alfa nei confronti della società holding occulta che svolgeva funzioni di eterodirezione sul Gruppo stesso.

A fondamento della propria domanda, Alfa sosteneva di aver subito, a causa delle funzioni di coordinamento e direzione svolte dalla holding occulta, una lesione alla propria integrità patrimoniale (con evidenti riflessi anche sugli interessi della massa dei creditori) e di essere dunque titolare di un credito risarcitorio nei confronti della holding, legittimamente azionabile dalla Curatela fallimentare anche ai sensi dell’art. 2497 cod. civ.

Le domande di Alfa trovavano accoglimento sia avanti il Tribunale (che dichiarava il fallimento della holding), sia avanti la Corte d’Appello di Napoli che confermava la sentenza di primo grado.

Il provvedimento della Corte d’Appello partenopea veniva quindi impugnato in sede di legittimità dai soci occulti della holding che ne sostenevano la completa erroneità per aver il giudice di secondo grado omesso di considerare che per ritenere esistente una società di fatto holding, e dichiararne il fallimento, è necessario l’accertamento della spendita del nome nei rapporti esterni.

Al ricorso principale rispondeva con controricorso il Fallimento Alfa, chiedendo la conferma della sentenza di secondo grado.

All’esito del giudizio, la Corte di Cassazione respingeva le domande formulate dai ricorrenti accogliendo invece le deduzioni di diritto avanzate dal Fallimento Alfa.

Nel merito, la Suprema Corte affermava che il problema della spendita del nome, ai fini del riconoscimento dell’esistenza e operatività di una società, non ha alcun senso laddove sia in gioco la responsabilità (e l’insolvenza) di una società occulta, caratterizzata giustappunto dalla volontà dei propri soci di agire per conto della stessa ma non in suo nome.

Per di più, laddove la responsabilità ascritta alla holding occulta tragga origine da un’obbligazione risarcitoria (come quella fatta valere dal Fallimento Alfa) per la illegittima attività di direzione e coordinamento, la spendita del nome è un non senso, posto che le obbligazioni risarcitorie, ex art. 2497 cod. civ., non trovano la propria radice causale in un fatto o in un atto negoziale volontariamente assunto dalla società (per il quale potrebbe in astratto valere un problema di spendita del nome), bensì nell’illecito extracontrattuale dell’agire occulto nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione di principi e doveri di corretta gestione delle società eterodirette.

In questo caso, la società holding occulta deve rispondere così come risponderebbe delle obbligazioni assunte in nome proprio, trattandosi di illecito extracontrattuale non ascrivibile ad obbligazioni di fonte “volontaria”.